[cs_content][cs_section parallax=”false” separator_top_type=”none” separator_top_height=”50px” separator_top_inset=”0px” separator_top_angle_point=”50″ separator_bottom_type=”none” separator_bottom_height=”50px” separator_bottom_inset=”0px” separator_bottom_angle_point=”50″ _order=”0″ _label=”Intro” style=”margin: 0px;padding: 15px 0px 0px;”][cs_row inner_container=”true” marginless_columns=”false” _label=”New Item 3″ style=”margin: 0px auto;padding: 0px;”][cs_column fade=”false” fade_animation=”in” fade_animation_offset=”45px” fade_duration=”750″ type=”1/1″ style=”padding: 0px;”][cs_element_headline _id=”4″ ][cs_element_image _id=”5″ ][cs_text class=”cs-ta-justify” style=”font-size:15px;”] Prego. Potete entrare in fila indiana, vi ricordiamo che è severamente vietato tossire, starnutire e/o respirare troppo vigorosamente. Alla vostra destra trovate il detergente per le mani, alla vostra sinistra i guanti, in alto le mascherine comunitarie. Le uscite di sicurezza sono ai vostri lati e in basso a destra, le mascherine antipanico sono a vostra disposizione, ma non abusatene. Ognuno è pregato di sedersi mantenendo consona distanza dagli altri, come da decreto ministeriale n.173 del 20 maggio; tale distanza è a discrezione del singolo individuo in accordo con l’addetto alla sicurezza. Vi chiediamo cortesemente di spegnere i cellulari e di evitare di contagiarvi l’un l’altro. Oh, non che crediamo che qua dentro ci sia il minimo pericolo, ovviamente. Noi qui siamo tutti sani. Anzi: se qualcuno non si dichiara sano è gentilmente pregato di abbandonare la sala con vergogna. Tutti sani? Benissimo. D’altronde se siete qui è perché avete pagato un biglietto, il che vuol dire che avete ancora soldi da sperperare in futilità, il che vuol dire che siete benestanti. Bene-stanti, quindi sani! Un applauso per tutti noi, congiungete pure la vostra sana mano destra con la vostra sana mano sinistra, applaudite, ridete, sfrigolate! Noi possiamo ancora concederci una dose di entusiasmo giornaliera! Viva noi! Viva i sani, i benestanti, gli astanti, i risuonanti, i richiamanti, i non migranti! Evviva! Basta, non esageriamo. Oggi siamo qui per parlare del mio amico Ammed. Non è davvero mio amico, ovviamente, e non si chiama neanche Ammed, è un nome immaginario, per la privacy, a meno che Ammed non sia il diminutivo di Mohammed, che è il suo vero nome… no, non funziona. Facciamo così, ricominciamo: oggi siamo qui per parlare del mio caro amico Hassan. Bene. Hassan è un immigrato clandestino. Ovvio. No, scusate, ovvio non dovevo dirlo. È vietato fare commenti che potrebbero, e sottolineo potrebbero, risultare ambiguamente razzisti. Noi qui non siamo razzisti: quando si viene a teatro ci si aspetta un pensiero di sinistra, giusto? Bè, non troppo di sinistra, una sinistra moderata, accogliente, rassicurante. Hassan è un immigrato clandestino, poverino. Vive nella parte più povera della città. Prendiamoci un attimo di silenzio per compatire il nostro caro amico Mohammed Ammed Hassan. Sapete, noi qui siamo sempre stati responsabili, abbiamo usato il buon senso, siamo stati ubbidienti e siamo rimasti nelle nostre case. La nostra comunità ci chiede uno sforzo? Noi siamo pronti a farlo, noi, le brave persone. Infatti nei nostri quartieri il contagio è diminuito, anzi, sono sicura che non è mai arrivato. Bravi, molto bravi. Ma, signori miei, in altre parti della città la situazione non è stata altrettanto sicura. Si narra che in alcuni luoghi le persone non abbiano avuto il nostro stesso senso civico, non lo dico per giudicare nessuno, ma alcune strade pullulavano di quelli che possiamo definire: furbetti. È con immenso cordoglio che vi rivelo che il nostro povero amico Hassan faceva parte di quei furbetti. Sì. Lui usciva di casa, magari era persino convinto di essere sano, come noi. Sei stato uno sciocchino, Hassan. E come lui, molti altri suoi amici sono usciti di casa. Noi abbiamo cercato di proteggerli, di spiegargli che erano malati, che erano pericolosi. Ma non c’è stato niente da fare, signori miei. E questo come ci fa sentire? Molto tristi. Ripetete con me: come ci sentiamo? Molto tristi. E non è tutto. In quei quartieri ho visto poveri occupare le strade senza mascherina e donne con bambini cercare di giocare nei cortili, ho visto file brulicanti di anime e voci e virus davanti a miseri minimarket, ho visto ragazzini appiccicati in case disgustosamente numerose, e quando abbiamo cercato di intervenire sfrattandoli da quelle abitazioni insalubri loro si sono ostinati a rimanere per strada; ho sentito di bambini che non prendevano parte alle lezioni online solo perché non avevano il computer e donne cercare di scappare di casa dicendo che il marito le “picchiava”. Nessun rom ci ha ringraziato quando abbiamo abbattuto le loro baracche infette e nessun uomo ha cercato di capire il perché delle bastonate durante il controllo dei documenti. Portare sicurezza in alcune parti della città, signori miei, è stato tremendamente difficile. Aiutatemi a dire “tremendamente difficile”: tremendamente difficile. Ma noi abbiamo tenuto duro, signori, non ci siamo arresi. Ricordo con una certa emozione quando ho visto quell’uomo cadere sotto il colpo di un taser, era un matto, e i matti fanno paura; abbiamo colpito i matti, gli spacciatori che spacciavano da asporto, abbiamo giocato a nascondino con i ragazzini che non potevano tornare a casa e con i genitori che non potevano lavorare, abbiamo fotografato disoccupati piangere sopra le panchine, abbiamo costretto i cinesi a nascondersi in casa come topi e dopo gli abbiamo chiesto cortesemente di scendere a farsi massacrare, e visto che loro non scendevano abbiamo trovato un coreano disposto a farsi picchiare alle casse della Lidl. Ma ciò che mi commuove più di tutto è il ricordo di quando abbiamo sfrattato l’ultimo dormitorio notturno: lì si nascondeva il peggio delle nostre città, faceva paura la forza della loro disperazione. Noi non gli abbiamo dato neanche il tempo di recuperare le loro cose, che di cose tanto non ne avevano, abbiamo iniziato a urlare come si fa con le bestie e loro come bestie sono corsi fuori, pronti a scappare dai nostri droni, dai nostri elicotteri sulla spiaggia, dai nostri manganelli, dalle nostre carceri piene. Le carceri sono così piene da sembrare un budello ricolmo di ombre e quando dentro hanno iniziato le urla e le mani hanno incontrato il fuoco abbiamo picchiato così forte che nessuno, dopo, ha potuto ridere di fronte alla prigione bruciata e chiunque ha goduto nel vedere la galera distrutta lo ha fatto con il groppo in gola per i compagni morti. Abbiamo diviso, separato, accumulato, cacciato, multato. Lo abbiamo fatto per voi, lo abbiamo fatto per noi. Le nostre case sono rimaste al sicuro, pulite, sane. Lasciamo che siano i poveri a contagiarsi tra loro e portiamo i nostri bambini puliti a giocare al parchetto. Siamo qui per questo: per dirvi che sì, nei nostri quartieri riapriranno gli scivoli. Ve lo siete meritato, ricordatevi, ognuno di voi, qui dentro, si è meritato di poter portare il proprio piccolo al parco. Si è meritato la sua ora di libertà. Non un minuto, non trenta minuti, signori miei, ma un’intera ora di libertà! Potete alzarvi adesso, guardate con gioia il vostro vicino: qui siamo tutti sani e potete fidarvi di lui. Oggi vi siete meritati anche questo: dare fiducia al prossimo. Ricordatevi, nei prossimi giorni, di utilizzare solo i parchetti nei pressi delle vostre case, non siate audaci, le strade sono pericolose ma noi continueremo a tenervi al sicuro. Sì, il nostro caro amico Mohammed Ammed Hassan adesso è in prigione, come è meglio per tutti. Qua fuori troverete delle boccette gratuite di Amuchina. La prossima settimana, alla stessa ora, organizzeremo un nuovo incontro su come gestire la propria libertà, speriamo di vedervi ancora più educati ed obbedienti.

Debora Benincasa

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D’altronde se siete qui è perché avete pagato un biglietto, il che vuol dire che avete ancora soldi da sperperare in futilità, il che vuol dire che siete benestanti. Bene-stanti, quindi sani! Un applauso per tutti noi, congiungete pure la vostra sana mano destra con la vostra sana mano sinistra, applaudite, ridete, sfrigolate! Noi possiamo ancora concederci una dose di entusiasmo giornaliera! Viva noi! Viva i sani, i benestanti, gli astanti, i risuonanti, i richiamanti, i non migranti! Evviva! Basta, non esageriamo. Oggi siamo qui per parlare del mio amico Ammed. Non è davvero mio amico, ovviamente, e non si chiama neanche Ammed, è un nome immaginario, per la privacy, a meno che Ammed non sia il diminutivo di Mohammed, che è il suo vero nome… no, non funziona. Facciamo così, ricominciamo: oggi siamo qui per parlare del mio caro amico Hassan. Bene. Hassan è un immigrato clandestino. Ovvio. No, scusate, ovvio non dovevo dirlo. È vietato fare commenti che potrebbero, e sottolineo potrebbero, risultare ambiguamente razzisti. Noi qui non siamo razzisti: quando si viene a teatro ci si aspetta un pensiero di sinistra, giusto? Bè, non troppo di sinistra, una sinistra moderata, accogliente, rassicurante. Hassan è un immigrato clandestino, poverino. Vive nella parte più povera della città. Prendiamoci un attimo di silenzio per compatire il nostro caro amico Mohammed Ammed Hassan. Sapete, noi qui siamo sempre stati responsabili, abbiamo usato il buon senso, siamo stati ubbidienti e siamo rimasti nelle nostre case. La nostra comunità ci chiede uno sforzo? Noi siamo pronti a farlo, noi, le brave persone. Infatti nei nostri quartieri il contagio è diminuito, anzi, sono sicura che non è mai arrivato. Bravi, molto bravi. Ma, signori miei, in altre parti della città la situazione non è stata altrettanto sicura. Si narra che in alcuni luoghi le persone non abbiano avuto il nostro stesso senso civico, non lo dico per giudicare nessuno, ma alcune strade pullulavano di quelli che possiamo definire: furbetti. È con immenso cordoglio che vi rivelo che il nostro povero amico Hassan faceva parte di quei furbetti. Sì. Lui usciva di casa, magari era persino convinto di essere sano, come noi. Sei stato uno sciocchino, Hassan. E come lui, molti altri suoi amici sono usciti di casa. Noi abbiamo cercato di proteggerli, di spiegargli che erano malati, che erano pericolosi. Ma non c’è stato niente da fare, signori miei. E questo come ci fa sentire? Molto tristi. Ripetete con me: come ci sentiamo? Molto tristi. E non è tutto. In quei quartieri ho visto poveri occupare le strade senza mascherina e donne con bambini cercare di giocare nei cortili, ho visto file brulicanti di anime e voci e virus davanti a miseri minimarket, ho visto ragazzini appiccicati in case disgustosamente numerose, e quando abbiamo cercato di intervenire sfrattandoli da quelle abitazioni insalubri loro si sono ostinati a rimanere per strada; ho sentito di bambini che non prendevano parte alle lezioni online solo perché non avevano il computer e donne cercare di scappare di casa dicendo che il marito le “picchiava”. Nessun rom ci ha ringraziato quando abbiamo abbattuto le loro baracche infette e nessun uomo ha cercato di capire il perché delle bastonate durante il controllo dei documenti. Portare sicurezza in alcune parti della città, signori miei, è stato tremendamente difficile. Aiutatemi a dire “tremendamente difficile”: tremendamente difficile. Ma noi abbiamo tenuto duro, signori, non ci siamo arresi. Ricordo con una certa emozione quando ho visto quell’uomo cadere sotto il colpo di un taser, era un matto, e i matti fanno paura; abbiamo colpito i matti, gli spacciatori che spacciavano da asporto, abbiamo giocato a nascondino con i ragazzini che non potevano tornare a casa e con i genitori che non potevano lavorare, abbiamo fotografato disoccupati piangere sopra le panchine, abbiamo costretto i cinesi a nascondersi in casa come topi e dopo gli abbiamo chiesto cortesemente di scendere a farsi massacrare, e visto che loro non scendevano abbiamo trovato un coreano disposto a farsi picchiare alle casse della Lidl. Ma ciò che mi commuove più di tutto è il ricordo di quando abbiamo sfrattato l’ultimo dormitorio notturno: lì si nascondeva il peggio delle nostre città, faceva paura la forza della loro disperazione. Noi non gli abbiamo dato neanche il tempo di recuperare le loro cose, che di cose tanto non ne avevano, abbiamo iniziato a urlare come si fa con le bestie e loro come bestie sono corsi fuori, pronti a scappare dai nostri droni, dai nostri elicotteri sulla spiaggia, dai nostri manganelli, dalle nostre carceri piene. Le carceri sono così piene da sembrare un budello ricolmo di ombre e quando dentro hanno iniziato le urla e le mani hanno incontrato il fuoco abbiamo picchiato così forte che nessuno, dopo, ha potuto ridere di fronte alla prigione bruciata e chiunque ha goduto nel vedere la galera distrutta lo ha fatto con il groppo in gola per i compagni morti. Abbiamo diviso, separato, accumulato, cacciato, multato. Lo abbiamo fatto per voi, lo abbiamo fatto per noi. Le nostre case sono rimaste al sicuro, pulite, sane. Lasciamo che siano i poveri a contagiarsi tra loro e portiamo i nostri bambini puliti a giocare al parchetto. Siamo qui per questo: per dirvi che sì, nei nostri quartieri riapriranno gli scivoli. Ve lo siete meritato, ricordatevi, ognuno di voi, qui dentro, si è meritato di poter portare il proprio piccolo al parco. Si è meritato la sua ora di libertà. Non un minuto, non trenta minuti, signori miei, ma un’intera ora di libertà! Potete alzarvi adesso, guardate con gioia il vostro vicino: qui siamo tutti sani e potete fidarvi di lui. Oggi vi siete meritati anche questo: dare fiducia al prossimo. Ricordatevi, nei prossimi giorni, di utilizzare solo i parchetti nei pressi delle vostre case, non siate audaci, le strade sono pericolose ma noi continueremo a tenervi al sicuro. Sì, il nostro caro amico Mohammed Ammed Hassan adesso è in prigione, come è meglio per tutti. Qua fuori troverete delle boccette gratuite di Amuchina. La prossima settimana, alla stessa ora, organizzeremo un nuovo incontro su come gestire la propria libertà, speriamo di vedervi ancora più educati ed obbedienti. Debora Benincasa Video source missing Image[/cs_content_seo]
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