Jacopo Riccardi
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Fare teatro per lavoro, almeno nella mia breve esperienza, è una corsa: vendi uno spettacolo, compila un bando, fai le prove, prepara un progetto, chiama un teatro, fai le prove, fai una riunione con i grafici, scrivi un testo di presentazione, fai le prove, fai ufficio stampa, aggiorna i conti, debutta. E poi tutto di nuovo da capo, senza interruzione. È una corsa sulla lunga distanza, tipo maratona, in cui non acceleri il passo né rallenti, nella speranza di arrivare a un certo punto. Ma dove?
Capita a volte, mentre corri con le cuffiette nelle orecchie per non sentire la fatica dei polpacci che tirano, che ti dimentichi il motivo per cui stai correndo. Non è un’epifania, non c’è una grande rivelazione, te lo dimentichi e basta, troppo preso dal pensiero di non fermarti.
Quest’estate ho passato due settimane molto belle a Ca’Colmello, casa-laboratorio vicino Bologna, in alta collina. Ho avuto l’occasione di partecipare a due laboratori molto intensi e pieni, con Daria Deflorian e Ewa Beneszc, e leggere molto teatro nella fornitissima biblioteca di Chiara, una dei due ospiti della casa. Il telefono praticamente senza segnale mi ha permesso di ignorare molti dei miei doveri. E in due settimane ho riscoperto, con la gioia e il divertimento di un bambino, quant’è bello fare teatro.
Mi sono fermato, ho recuperato fiato. Sono pronto a ricominciare a correre. Però… però credo sia importante, per chi fa teatro, ma forse proprio per tutti, sia importante potersi prendere del tempo libero dalle ansie di dover creare, produrre qualcosa di vendibile, un tempo di studio e di gioco, un tempo per fregarsene della meta e godersi la corsa.