Marco Gottardello
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Più di un anno è ormai passato da quando ho preso la decisione di lavorare su Theo van Gogh. Da allora è diventato una specie di amico, un amico immaginario e anche un po’ speciale che mi regala meravigliosi aneddoti ogni volta che lo chiamo in causa quando ne parlo:
“Theo chi? Ma non si chiamava Vincent?”.
E’ lecito quindi chiedersi: chi era in realtà il buon Theo van Gogh? Facendo una veloce ricerca sul web, alla voce “Theo van Gogh” appare la biografia di un regista ucciso dagli estremisti islamici nei primi 2000 (“Ma non si chiamava Vincent?”). Dobbiamo allora sapere, come prima cosa, il suo vero nome: Theodorus van Gogh.
Le informazioni che otteniamo possono essere riassunte così:
(Zundert, 1º maggio 1857 – Utrecht, 25 gennaio 1891), fratello minore di Vincent van Gogh. Intrattenne con lui un fitto epistolario (noto come Lettere a Theo), servito nel tempo per la ricostruzione della vita del pittore. Fu essenzialmente un mercante d’arte: lavorò per tutta la vita alla filiale parigina della galleria Goupil&Cie . Finanziò spesso le opere di Vincent e fu l’unico a credere ciecamente nella sua opera, mantenendolo economicamente. Già malato, le sue condizioni di salute precipitarono dopo la notizia del suicidio del fratello. Morì il 25 gennaio 1891, appena sei mesi dopo Vincent.
Tutto qui.
Eppure Theo fu un importante mercante d’arte (l’Impressionismo lo conosciamo oggi anche grazie a lui), fu figlio, marito e padre, capace di un amore e di una costanza quasi incomprensibili ai nostri occhi, coprotagonista (non spalla) di una delle storie più strazianti nelle quali mi sia mai imbattuto. Grazie a lui il mondo conosce la pittura di Vincent, ma niente sappiamo dei suoi sforzi, delle sue rinunce, di quanti pasti sarà stato costretto a saltare per permettere al fratello di continuare la sua opera.
Fu anche fratello, certo, e destinatario delle famose lettere. Come se fossero lettere a cui non rispondeva, come fosse un semplice capriccio di Vincent scrivere lettere senza risposta. La verità è che quella risposta c’era eccome, Theo ha dato risposta a ogni lettera, non importa quanto impegnativa o dolorosa, lui ha risposto. Ma la sua risposta non sembra nemmeno essere degna di attenzione; le sue lettere non vengono nemmeno pubblicate, rimangono costudite in un archivio, come materiale servito nel tempo “per la ricostruzione della vita del pittore”.
Theo sopravvive sei mesi senza Vincent. Sei mesi. Si lascia semplicemente morire, come se niente avesse più scopo senza di lui, come se la sua vita ormai non servisse più, come se cercasse soltanto di scomparire ed essere dimenticato. Ma anche nella morte rimane accanto a Vincent: le tombe dei due fratelli sono una accanto all’altra nel cimitero di Auvers-sur-Oise, e questa per me è la cosa più straziante di tutte.
Theo van Gogh è stato dimenticato.
Ma non da tutti.