Perché Era meglio nascere topi? Cioè, dico: perché questo titolo? È una cosa che mi è stata chiesta più volte e visto che la risposta porta con sé tutta una serie di storie mi pare interessante raccontarla.
Era meglio nascere topi è il nostro spettacolo difficile, ancora stiamo cambiando il finale, giusto per dire la quantità di rimaneggiamenti fatti, considerando che l’idea è nata nel lontano 2017 (vi ricordate che vita spensierata nel 2017?) Il primo titolo con cui abbiamo presentato il lavoro era Mondo gagio. Il termine gagé, in lingua romanì, indica chiunque non sia rom. Il suono era simpatico, ma proprio questa simpatia strideva col contenuto dello spettacolo ed era anche sbagliatissimo usare un termine romanì visto che poi tutto il racconto si svolgeva dall’altra parte: non è uno spettacolo sulla cultura rom ma sull’enorme e terribile violenza che la nostra società riversa su di loro. Quindi abbiamo iniziato a cercare altrove.
La drammaturgia di questo spettacolo è intessuta da frasi e citazioni reali. Anche questo va detto, perché spesso alcune parti sembrano eccessive ma la triste verità è che abbiamo addirittura depurato il linguaggio e che le parti più violente sono, solitamente, proprio quelle vere. La scrittura ha quindi solo rimpastato le parole e esistenti, le abbiamo ripetute, sottolineate, appese a striscioni. È interessante perché la drammatizzazione di un linguaggio che è purtroppo diventato comune sembra quasi svelarlo: la scritta razzista sul muro che non ci stupisce più, appesa in un teatro ci scandalizza e ci infastidisce. Come se il palco ci reinsegnasse a indignarci di fronte a ciò che non ci piace e non vogliamo. Abbiamo fatto interviste, raccolto le nostre esperienze, abbiamo attraversato alcune scuole e visto moltissimi video.
Ed è stato proprio in uno di quei video che ho trovato l’agghiacciante testimonianza che ci ha portati al titolo. Un breve reportage su alcune proteste contro un campo rom (forse di Torino). Si vede una sorta di lunga processione, è buio, le persone hanno delle candele in mano. Una signora si ferma, guarda in camera, e con assoluta lucidità dice:
Quasi mi dispiace per i topi, costretti a vivere in quelle condizioni.
Con “quelle condizioni” intende il campo rom, dove abitano le persone contro cui lei e i suoi compagni di protesta stanno urlando. Con “quelle condizioni” intende la povertà totale in cui costringiamo a vivere quelli che la nostra società mastica e poi sputa fuori, gli ultimi ancora più ultimi.
Lavorando a questo spettacolo speravo di raccontare altro. Ma quando ho iniziato la mia ricerca il panorama che mi si è presentato davanti è stato devastante. La realtà in cui viviamo ha scelto i rom come capro espiatorio totale, ha costruito una narrazione che li rende il nemico numero uno, il mostro che la sera viene a rubarti il bambino. Lo stereotipo ha coperto qualsiasi altra cosa tanto da non venir più riconosciuto come tale, crediamo di sapere tutto sul popolo rom non conoscendo assolutamente niente. Crediamo di poter etichettare una cultura che è tra le più variegate, sfaccettate, diversificate che esistano e che noi bolliamo semplicemente come “quelli che abitano nei campi”, non fermandoci neanche un attimo per chiederci che responsabilità abbiamo noi nella costruzione e gestione di quei campi e se questi campi li vogliano o meno quelli che ci abitano.
E dunque Era meglio nascere topi è una frase che riassume tutto il nostro devastante razzismo.
Debora Benincasa
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