Debora Benincasa
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Il progetto nasce nel 2015, grazie ai filmati di un abitante del campo di Lungo Stura Lazio, Jean Diaconescu, che ha iniziato a riprendere con il suo telefonino atti di sopraffazione e abuso da parte della polizia durante lo sgombero. Aveva bisogno di documentare le scene che vedeva sapendo che la voce degli abitanti del campo, contro quella delle istituzioni, non ha potere. Ai suoi filmati si accostano le riprese di Manuela Cencetti e Stella Iannitto (regista). Il documentario è adesso in fase di post-produzione ed è aperta una campagna crowdfunding per finanziare le ultime fasi di lavoro e la distribuzione dell’opera, se volete partecipare trovate QUI la pagina con tutte le informazioni. L’oppressione può passare anche dalla negazione del diritto di auto-raccontarsi. Il popolo rom è schiacciato da uno stereotipo violento e discriminante che si è radicato in profondità tanto da sembrare naturale. Dei rom si credono vere affermazioni palesemente razziste, dal rubare i bambini ad altre più subdole, come considerare il campo nomadi (anche il nomadismo è uno stereotipo) il luogo naturale in cui i rom vorrebbero vivere. I campi andrebbero invece trattati come luoghi in cui molte persone (rom e non rom) sono costrette ad abitare a causa della povertà e dell’emarginazione. Il loro superamento è azione necessaria che richiede però un lavoro lungo, attento e che dovrebbe mettere in discussione anche il nostro concetto di abitare e le politiche delle nostre città che tendono a lasciare indietro sempre più persone. Il campo di Lungo Stura Lazio (il “Plaz” per i suoi abitanti), nella periferia nord di Torino, è stato una delle baraccopoli più grandi dell’Europa occidentale. Nel 2013 la Città di Torino, grazie a un grosso finanziamento europeo, ha avviato il progetto “La città possibile” che avrebbe dovuto promuovere “iniziative a favore delle persone rom” e che ha portato, invece, solo allo sgombero del campo. L’iniziativa è stata definita dalle istituzioni come “sgombero dolce” ma ha semplicemente spostato la maggior parte delle famiglie in altri campi o, più semplicemente, per strada. Tutto il progetto ha lasciato dietro di sé una serie di scandali, inchieste giudiziarie e promesse non mantenute. Da poco è stato sgomberato anche il campo in Via Germagnano, sempre a Torino. Le modalità sono ancora più terribili di quelle usate in Lungo Stura: il sequestro delle abitazioni è iniziato durante il lockdown, lasciando persone e famiglie senza dimora in un momento di estrema fragilità. Jean ci mostra una storia che finora è rimasta invisibile. Il suo sguardo si posa sulla vita quotidiana degli abitanti del campo e sulle sopraffazioni che hanno subito. Vedere alcuni pezzi del girato è duro ed è forte la necessità di far circolare queste immagini. Contro una narrazione unica e fuorviante, per non dire razzista e criminale, lo sguardo della Versione di Jean ci riporta una verità che spesso ci è negata e ci dà la possibilità di sapere e conoscere parti di città e di vissuto tenute lontane dai nostri sguardi. Per tutto questo, per le difficoltà del progetto, per il coraggio e la rabbia, grazie. Partecipate alla raccolta fondi e visitate il sito e archivio che hanno creato: La versione di Jean. Debora Benincasa Video source missing [/cs_content_seo]
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La versione di Jean è un documentario necessario che cerca di decostruire la narrazione dominante sul popolo rom, sui campi e sugli sgomberi.
Il progetto nasce nel 2015, grazie ai filmati di un abitante del campo di Lungo Stura Lazio, Jean Diaconescu, che ha iniziato a riprendere con il suo telefonino atti di sopraffazione e abuso da parte della polizia durante lo sgombero. Aveva bisogno di documentare le scene che vedeva sapendo che la voce degli abitanti del campo, contro quella delle istituzioni, non ha potere.
Ai suoi filmati si accostano le riprese di Manuela Cencetti e Stella Iannitto.
Il documentario è adesso in fase di post-produzione ed è aperta una campagna crowdfunding per finanziare le ultime fasi di lavoro e la distribuzione dell’opera, se volete partecipare trovate QUI la pagina con tutte le informazioni.
L’oppressione può passare anche dalla negazione del diritto di auto-raccontarsi. Il popolo rom è schiacciato da uno stereotipo violento e discriminante che si è radicato in profondità tanto da sembrare naturale. Dei rom si credono vere affermazioni palesemente razziste, dal rubare i bambini ad altre più subdole, come considerare il campo nomadi (anche il nomadismo è uno stereotipo) il luogo naturale in cui i rom vorrebbero vivere.
I campi andrebbero invece trattati come luoghi in cui molte persone (rom e non rom) sono costrette ad abitare a causa della povertà e dell’emarginazione. Il loro superamento è azione necessaria che richiede però un lavoro lungo, attento e che dovrebbe mettere in discussione anche il nostro concetto di abitare e le politiche delle nostre città che tendono a lasciare indietro sempre più persone.
Il campo di Lungo Stura Lazio (il “Plaz” per i suoi abitanti), nella periferia nord di Torino, è stato una delle baraccopoli più grandi dell’Europa occidentale.
Nel 2013 la Città di Torino, grazie a un grosso finanziamento del Ministero dell’interno per l’ennesima “emergenza nomadi”, ha avviato il progetto “La città possibile” che avrebbe dovuto promuovere “iniziative a favore delle persone rom” e che ha portato, invece, solo allo sgombero del campo.
L’iniziativa è stata definita dalle istituzioni come “sgombero dolce” ma ha semplicemente spostato la maggior parte delle famiglie in altri campi o, più semplicemente, per strada. Tutto il progetto ha lasciato dietro di sé una serie di scandali, inchieste giudiziarie e promesse non mantenute.
Da poco è stato sgomberato anche il campo in Via Germagnano, sempre a Torino. Le modalità sono ancora più terribili di quelle usate in Lungo Stura: il sequestro delle abitazioni è iniziato durante il lockdown, lasciando persone e famiglie senza dimora in un momento di estrema fragilità.
Jean ci mostra una storia che finora è rimasta invisibile. Il suo sguardo si posa sulla vita quotidiana degli abitanti del campo e sulle sopraffazioni che hanno subito. Vedere alcuni pezzi del girato è duro ed è forte la necessità di far circolare queste immagini.
Contro una narrazione unica e fuorviante, per non dire razzista e criminale, lo sguardo della Versione di Jean ci riporta una verità che spesso ci è negata e ci dà la possibilità di sapere e conoscere parti di città e di vissuto tenute lontane dai nostri sguardi.
Per tutto questo, per le difficoltà del progetto, per il coraggio e la rabbia, grazie.
Partecipate alla raccolta fondi e visitate il sito e archivio che hanno creato: La versione di Jean.